Il responsabile tecnico del settore giovanile si racconta in un’intervista realizzata dall’addetto stampa gialloblù Daniele Siri.

Ciao Sergio, tutta la tua carriera da allenatore è trascorsa ad insegnare ai più giovani, per i pochi che non ti conoscono vuoi riassumercela ? «A parte una breve parentesi In Eccellenza con la Loanesi, ho sempre cercato di trasmettere la mia passione per il calcio ai ragazzini. Ho iniziato quando ancora giocavo a Carcare, Poi, chiedendo un’aspettativa dal lavoro, ho preso a girare il mondo prima con un progetto del Parma, gestito da Arrigo Sacchi, poi il passaggio all’Inter, ove sono rimasto 7 stagioni a curare i camp in tutto il pianeta: Africa, Cina, Medio Oriente e soprattutto Iran. Infine l’esperienza, anche questa settennale, a Malta dove ero coordinatore delle nazionali giovanili e collaboratore del trainer della selezione maggiore. Un’esperienza gratificante ma al tempo stesso pesante perché mi ha allontanato da mia moglie e i miei figli». Ma per te essere lontano da casa è sempre stata la normalità, sin da bambino giusto? «Avevo 14 anni quando andai a provare per il Boca Juniors facendo un viaggio in bus di 16 ore e per la verità, fui tra i prescelti, ma mia mamma pose il veto perché Buenos Aires era troppo distante e quindi accettai la proposta del Colon, squadra di Santa Fe’, con cui feci tutta la trafila sino ad esordire in prima squadra. Ho giocato negli stadi più importanti d’Argentina ad eccezione del Monumental, la casa del River Plate, perché ero infortunato. L’emozione più grande? Quella di giocare nella mitica “Bombonera” contro il Boca di cui sono sempre stato un grande tifoso. Sessantamila persone che urlano e saltano facendo vibrare il terreno, un’autentica bolgia». Fu li che giocasti contro Maradona? «Per la verità Diego l’ho affrontato diverse volte, la prima a 13 anni in un torneo di ragazzini: l’Embalse del Rio Tercero. Lui giocava con una squadra chiamata “Las Cebollitas” che era imbattuta da più di cento gare. Perdemmo, ma solo ai rigori, e a me toccò proprio di marcare il futuro “Pibe de Oro”. Già allora si capiva che era uno speciale. Poi lo affrontai quando giocavo con il Colon e lui militava prima nell’Argentinos Juniors e poi nel Boca. Infine condivisi con lui l’esperienza dell’Under 20 in preparazione dei Mondiali in Giappone del 1979. Feci tutta la preparazione, ma alla fine fui scartato, d’altronde in quella squadra oltre a Diego, militavano Barbas, Meriaga, Ruben Rossi ed il mio grande amico Pedro Pasculli, che poi giocò a Lecce in serie A». Anche tu arrivasti in Italia qualche anno dopo vero? «Già, nel 1985. La crisi economica in Argentina stava colpendo duro e speravo di trovare un ingaggio in serie C con l’aiuto di un mio zio acquisito, quell’Oscar Massei che giocò con Inter e Spal. Ma non andò così, i tempi per ottenere la cittadinanza si allungarono e finii a giocare ad Alba, in Interregionale, dove per la prima volta in vita mia vidi la neve. Lì mi scovò il patron della Carcarese, Marco Sardo che mi convinse ad accettare il trasferimento in Liguria in quella che è diventata la mia casa e dove ho ottenuto le vittorie più belle in Italia». Su quella trattativa c’è un aneddoto gustoso ce lo racconti? «Sì, il presidente fu abile a magnificare tutto l’ambiente, peccato che si dimenticò di dire che Carcare non era proprio sul mare e che il campo non era in erba ma in terra battuta, immaginati il mio scoramento quando vidi per la prima volta il Corrent ma ben presto imparai ad amare tutto». Poi un anno anche a Cairo, ma non andò bene… «Questo è il mio rammarico più grande, mi ruppi il menisco e giocai davvero poco, peccato perché quella era una bella squadra. Ma il Vesima è stato comunque nel mio destino, qui ho giocato la mia prima partita in Italia quando con l’Albese incontrai l’Acqui che aveva il campo squalificato». Infine, cosa significa per te il calcio? «Il calcio è tutto, è la mia vita. Sin da piccolo volevo fare il calciatore e ci sono riuscito. C’è una massima del grande allenatore Cesar Menotti che ho fatto mia e che riassume al meglio il senso del calcio e della vita “La frenesia nel calcio non serve. Il calcio è come la musica, è fatto, di pause e tempi. A volte devi accelerare, a volte camminare. C’è solo una cosa che non puoi smettere di fare nel calcio e nella vita: pensare. Se corriamo e poi pensiamo, non va bene. Non si tratta di arrivare prima, ma di risolvere prima. Se arrivo per primo a un incendio senza l’acqua, non so dove sto andando». Una massima che tutti dovremmo fare nostra soprattutto in questi tempi così complicati. Grazie Sergio.

Formazione del Colon (Soldano è il quarto da sin in piedi) quando affrontò il Boca juniors

Una rarissima immagine del tredicenne Maradona (indicato con una freccia) nella partita in cui affrontò Soldano

Sergio con i 3 argentini dell’Inter da sin Zanetti, Cambiasso e Crespo

Soldano con il suo grande amico l’attaccante Leopoldo Luque

Soldano con la maglia del Colon Serie A argentina stagione 1981

 

La nostra società ha come fiore all'occhiello il settore giovanile. Iniziamo questa settimana puntando la luce dei riflettori sul responsabile tecnico del settore giovanile Sergio Soldano.

Pubblicato da ASD Cairese 1919 su Lunedì 6 luglio 2020